Intervista doppia per una mostra ‘legata a doppio filo’: la doppia personale da Anna Marra “Doppio Segno”.

Fino a domani la Galleria Anna Marra Contemporanea ospita  Chiara Valentini (Fermo, 1981) e Elena Nonnis (Roma, 1965), due generazioni, due biografie che s’intrecciano in un discorso legato a doppio filo. È proprio seguendo questa traccia che le vicende artistiche si legano insieme. Perché se da un lato le femminili anatomie morbide di Chiara si sgonfiano di vigore e plasticità  tipiche della scultura classica,  quelle di Elena segnano, con ritratti a trama ribaltata pose, gesti, volti anonimi e comparse, tutta una genealogia di figure femminili che hanno anche saputo dire no.

Entrambe le artiste infatti mettono il segno della loro evasione dal prepotere maschile. Senza però rinchiudersi in una dolorosa incisione le ultime opere inaugurano una nuova speranza.

Per Chiara è “mano nella mano” opera piatta che assorbe dal gesto caldo e sessuale tra donna e uomo la  nuova spinta a procedere insieme. In Elena nell’atto involontario di disegnare il profilo di “Franca”, anche se come ‘retroscena’. Abbiamo incontrato le artiste in un’intervista a specchio.

Chiara,  per te che sei italiana ma vivi in Grecia  cosa c’è di questo paese nelle opere in mostra? Gli antichi monumenti sembrano ammorbiditi dai panni e dalla lana delle tue opere. Si può parlare di classicità s/gonfiata?

Parlerei piuttosto di “anatomie morbide”, ciò che è s/gonfiato nei miei lavori è l’essere umano. Il rimando all’iconografia classica è un pretesto per rendere universale la fragilità della nostra specie, il conflitto essenza/apparenza, corpo/ anima. La volontà era quella di classicizzare gli stati emotivi, la solitudine o il disagio della propria fisicità, e poiché il bagaglio storico oltre a essere una ricchezza è anche un peso, a un certo punto ho sentito il bisogno di “sgonfiarlo” un po’ …

abbraccio chiara valentini

Elena,  le tue donne sono “cucite” al contrario e senza volto. Perché? E com’è che il volto è sul retro?

Per molto tempo ho cucito le donne seguendo il disegno con il filo. A un certo punto però mi sono accorta che il lavoro più interessante era il rovescio. Il segno era più sensibile, lasciava tracce sospese, impreviste, c’erano le impurità dei nodi e dei fili che finivano liberi. Allora ho smontato la tela e montata al contrario, mostrando il retro. Da questi “retroritratti”  iniziavano a sparire i volti e l’identità. Sono immagini senza volto perché il dolore impone silenzio. Sono tutte esperienze talmente condivisibili che vanno oltre la singola storia perciò le“Comparse”: una serie di ritratti di donne. Anche se tutte hanno una storia, nessuna di queste è più importante, nessuna protagonista.

Chiara, come nasce l’idea di creare delle opere come queste?

Da un connubio di elementi: in primis il vissuto e persino la scelta del materiale. Le immagini e naturalmente il pensiero di fondo e la volontà di esprimerlo.

Elena, perché hai scelto quelle storie invece che altre?

franca Nonnis

Ho scelto storie e vite diverse, alcune anonime, altre note, o personali. Franca Viola, la diciassettenne siciliana che nel 1965 rifiuta il matrimonio riparatore, Donatella Colasant a cui è toccato un destino più crudele, altra “testimonial” è infine Traecy Emin, una grande artista contemporanea che della violenza subita  ne ha fatto materiale per il suo lavoro, pareggiando così i conti col destino. E’ questo che m’ interessa, la trasformazione, la catarsi.

Cosa ti è piaciuto della proposta di collaborare in una mostra ” legata a doppio filo”?

(Chiara) Credo che confrontare due ricerche sia un’operazione non semplice ma assolutamente costruttiva. I nostri lavori se pur diversi si incontrano in parecchi punti, molte cose ci accomunano, scoprirle e valutarle è stata una piacevole sorpresa.

(Elena) Trovare delle convergenze nelle divergenze. Alla fine il cucito, o le affinità tecniche con il lavoro di Chiara, sono le cose meno interessanti; mi interessa invece la diversa visione riconducibile però a tematiche affini, per cui ho scoperto che se per Chiara il mito è Venere, per me è Franca, che le sue tre grazie hanno trovato nel mio lavoro l’incarnazione nelle figure  di Franca, Donatella e Traecy. Miti muti che condividono lo spazio e il tempo.

Anna de Fazio Siciliano

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Nerone cerca fondi!

Domus aurea. Restaurare la memoria.  Si, ma come? Privati, crowdfunding, colletta. Nerone cerca fondi!

Erigere una nuova Roma sulle macerie dell’antica città? Era il sogno di Nerone, e per realizzarlo, lui, non badò a spese.

Il progetto era “colossale”, l’area interessata occupava tutta la zona tra il Celio e il Palatino, boscaglie, giardini, spazi termali, laghi  e quant’altro pur di vivere in una residenza “degna di un uomo”.

Appassionato di edilizia, subito dopo l’incendio del 64, Nerone cominciò a pianificare una residenza secondo i più razionali criteri urbanistici. Volle anzitutto metterla in sicurezza con ampi porticati, usare mezzi appropriati per contrastare altri incendi e incentivò persino i lavori di costruzione stabilendo premi per chi consegnava subito, entro la scadenza.

Nulla di più lontano da quello che succede oggi a Roma. Si, perché se una mostra di qualche tempo fa ne ha riabilitato il ruolo e la vicenda storica, non ha però cambiato le sorti né le teste, perciò ci tocca sentire che la magnifica residenza di 300 stanze decorate a stucchi affreschi e con marmi pregiati, recintata con tre giri di colonne, abbellita persino da un enorme lago artificiale, rinfrescata da splendidi boschi e giardini immensi…insomma la domus aurea di Nerone oggi cerca fondi!

Fedora Filippi, M.Rosaria Bandera e uno staff di esperti ce l’hanno messa tutta e finora hanno portato a termine gran parte del consolidamento del padiglione del colle Oppio, dove campeggiano le più belle rovine della Domus Aurea.  Spesi già 18 milioni di euro. Ma non bastano. E per restaurare Nerone e le sue mirabilia, ce ne vorranno altri 31. E non è che l’inizio. Infatti il progetto Domus Aurea (il cui blog sul cantiere aperto ha vinto il premio come innovativo motore d’ingegneria progettuale) prevede per i primi 4 anni lo sbancamento dei giardini soprastanti  con il consolidamento delle murature dell’area ipogea e solo in seguito il restauro degli affreschi, e quindi la salvezza del monumento. Il percorso di restauro è lungo ma certo ne vale la pena e il portafoglio!

È vero in parte Nerone fu un despota, un omicida, espropriò terreni pubblici per farsi la villa che alla fine gli costò così cara da rimetterci la pelle.  Però è anche vero che una parte di questa immensa abitazione era pubblica.. e poi che direbbero oggi Celere e Severo se sapessero quale sia la sorte toccata alla loro migliore opera architettonica? Roma li condanna di nuovo alla damnatio memoriae?

Adesso, come nel 68 d.C. quando il Senato decretò la fine di Nerone e scagliò la cancellazione della sua memoria, ancora il suo nome, tanto vituperato, rimbomba tra le mura capitoline.

Però in più batte cassa. Non girano tanti sesterzi per rinsaldare bellezza e memoria.

Per fare ciò, il più maestoso edificio dell’antichità lancia un SOS: crowdfunding, art bonus, colletta o privati purché Roma si salvi da un alto devastante incendio. Che è quello che brucia la sua memoria storica.

Non per nulla ma la Domus aurea è stata una scoperta incredibile: non solo le sue decorazioni con conchiglie, soggetti ibridi e festoni floreali hanno ispirato lo stile delle grottesche a Roma da Pinturicchio a Raffaello, a partire dal 1480 ma invaderanno anche le pitture di spazi e palazzi di tutta Italia e oltre.

“La Domus è il passaggio dall’antico al Rinascimento” grottesca – afferma con forza la Filippi che prossima alla pensione non molla e in quanto a tenacia ne ha da vendere. Racconta “Per la Domus, ho fatto il  mio dovere da cittadina, anche oltre i limiti previsti”. Ora va in Germania ma ha ancora la Domus in testa soprattutto perché è ancora un cantiere aperto, e quindi ancora da tutelare, che adesso si può visitare (nel week end prenotandosi al numero 06.39967700) ma anzitutto perché con gli ultimi interventi sono saltate fuori nuove stanze.

Ricapitolando. Gli ambienti noti sono 153. Di questi l’ala occidentale non era mai stata aperta al pubblico. La volta affrescata della sala 23 è una scoperta dello scavo. Oltre all’autografo graffito di Pintoricchio nella sala 31 ci sono altri segni indelebili di artisti che nel Rinascimento restarono sbalorditi da tanta “audacia” oltre natura.  In breve, graffitari d’altri tempi che incidono il loro nome. Ma non basta. In alcuni ambienti le scoperte non finiscono. Oltre alle tracce delle fiaccole usate nel settecento che hanno annerito alcune volte, sono presenti, e più di una volta, gli interri originali, cioè quei “vomitoria” di pietre che i pittori del 1500 avevano trovato calandosi nel 64 dopo Cristo.

E non solo. Sono sorprendenti  i buchi che loro stessi avevano scavato per tuffarsi nelle “grotte” di Nerone. La casa dorata infatti era stata sotterrata dalle costruzioni più tarde delle terme di Traiano e per calarsi dovevano rompere e scendere giù. Una magia che nemmeno si può immaginare se lo stato dei lavori non avanza!  E se non si risolvono i problemi riscontrati. Le cause del degrado infatti sembra siano ascrivibili alla natura ipogea della struttura, che certo l’ha preservata dal dimenticatoio dell’antichità ma la danneggia paradossalmente.  Quindi per i 16 mila metri quadrati(pari a 3 campi da calcio) occorre sradicare alberi e radici. E per non perdere tutti gli affreschi(al momento c’è una percentuale del 70% di distacchi d’intonaco) dopo aver consolidato tutte le murature eliminando calcare e umidità, si passerà all’operazione del reintegro degli affreschi. Ma questa è tutta un’altra storia! E speriamo di raccontarla presto. Ma intanto chi salverà Roma?  E la bellezza della sua più  famosa e sconosciuta Domus?

Appuntamento qui alla Domus tra 4 anni, con Nerone, gli affreschi, i graffiti.

Anna de Fazio Siciliano

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I bassifondi del Barocco

http://www.exibart.com/notizia.asp?IDNotizia=43422&IDCategoria=1

exibart a Villa Medici

La grande bruttezza. Miserie e splendori di Roma. A Villa Medici è di scena il 600, con i suoi vizi, le perversioni e i ragazzi di vita. L’altro volto del Barocco.

Si è inaugurata il 7 ottobre, all’Accademia di Francia una mostra che vede la luce dopo lunghe dibattute ricerche. A seguito della mostra a Palazzo Venezia che ha svelato i contorni della vita e dell’arte di Caravaggio e ‘seguaci’, la Francia svaligia il cassetto del Barocco nascondendo trionfi e ricchezze e tirando fuori il brutto e il deforme, gli angoli più fatiscenti della città  dove vivevano artisti maledetti tra vino, orge, bari e mezzane.

Le due curatrici, Annick Lemoine e Francesca Cappelletti, sostenute dal direttore Eric de Chassey, scalzano Bernini e Pietro da Cortona, “Niente più Bello ideale o decoro”, dicono, Poussin sparisce,e  ritrovano invece con buona pace di Caravaggio, le smorfie, le taverne sozze, i buveurs. Risse per le strade o furti a mano lesta, giochi di carte e truffaldini a giro.

La Lemoine (responsabile del dipartimento di storia dell’arte di Villa Medici) e la Cappelletti (professore di storia dell’arte all’Università di Ferrara) hanno pensato il percorso espositivo in 9 sezioni. Al piano terra: Il soffio di Bacco, Bacco tabacco e Venere, La taverna truculenta e Divertimenti dove un pittore anonimo ( forse Vouet) dipinge uno che fa il gesto della fica.  Salendo la gradinata: Ritratti( in prestito dalla Galleria Borghese il Mendicante di Ribera) Roma, Disordini e violenze, Sortilegi e per finire la sezione della Taverna malinconica.

È l’arte del 600, quella di una Roma cosmopolita e cauda mundi che vede intrecciarsi accanto ai Carracci e al classicismo, la scuola dei Bent e dei “bamboccianti”. Oltre a Caravaggio e Bartolomeo Manfredi esisteva dunque, (è  l’obiettivo della retrospettiva) tutta una comunità di artisti stranieri, anzitutto fiamminghi, tedeschi, spagnoli e francesi, che abitava le vie più degradate della città e che al fasto preferiva l’osteria, al papa il dio Bacco.

L’esposizione, che conta più di 50 opere realizzate a Roma nella prima metà del XVII secolo, inizia sotto i  migliori auspici, si brinda con il dio dell’ebbrezza.

L’opera di Bartolomeo Manfredi, intrisa di una forte  sensualità, è del 1621-22. Bacco e un bevitore, ci inizia attraverso un rito dionisiaco ai piaceri del bicchiere e invita con un gioco di sguardi e ammiccamenti a godere del momento.

Segue uno dei più bei tableaux vivants (è anonimo) in mostra, Cerimonia di ammissione, viene dal Rijiksmuseum di Amsterdam e celebra l’ammissione di un nuovo membro tra i Bent(i Bentveughels o uccelli della banda). Dal battesimo del vino all’orgia, al pellegrinaggio finale a Santa Costanza, che ai tempi, si credeva fosse luogo pagano, i pittori della Bent, giovani e senza mogli, rovesciavano i riti delle accademie artistiche, deridendo e insultando le istituzioni anche attraverso la scelta dei soggetti: gesti volgari e grasse risate.2_Anonyme-Homme faisant le geste de la fica

Persino Lanfranco, il poeta della Galleria dei Farnese, si trasforma in vecchio sporcaccione e mette i baffi a Venere. L’olio, in collezione privata, rappresenta un  Giovane nudo sul letto con un gatto, la tenda nera nello sfondo è semichiusa(indice che si metteva per tenerla nascosta), l’uomo sorride. Tutto è sorprendente, soprattutto se come vedremo più avanti, non sono solo un popolo sconosciuto e volgare a fare da sfondo ma piuttosto artisti colti,  personaggi di una Roma papalina che stentiamo a riconoscere.

9_Giovanni Lanfranco-Jeune homme au chat

 

Artemisia Gentileschi, per esempio, si traveste da uomo, per irriverenza o chissà forse torna da una festa? Leonaert Bramer pittore di Delft che visse a Roma fino al 18 ottobre 1627 (torna in Olanda a seguito di una rissa all’Osteria della Rosa, in piazza Sant’Adriano) la immortala con l’ inchiostro dentro a una galleria di 6 ritratti, tutti o quasi di ambito caravaggesco.  Tra i 20 e i 30 anni, Régnier, van Baburen, Lorrain, sono tutti raffigurati chi con un bicchiere in mano, chi con un fiore come pittori bohemien che se la spassano a Roma.

Il secolo che si era aperto con il rogo ( il 17 febbraio del 1600) di Giordano Bruno a Campo dei Fiori e la tragedia dei Cenci a Castel Sant’Angelo; continua con un episodio  tragico e fondamentale per gli artisti stranieri: il 28 maggio del 1606  Merisi uccide Ranuccio Tomassoni.

La sua vicenda da quel momento prenderà una brusca accelerata. Le diverse fughe in Sicilia, a Napoli e a Malta sono accompagnate da quadri e commissioni che Caravaggio lascia un po’ ovunque agendo quindi da modello perché l’arte rivoluzionaria di Caravaggio, soprattutto i Bari o la Buona Ventura sarà presa come una eredità per i nuovi pittori, che tra Utrecht e Napoli imprimeranno al caravaggismo una cifra personale. Valentin de Boulogne ha una passione precisa per il tema della musica, in mostra c’è il quadro proveniente dal Louvre. Il Concerto con bassorilievo forse apparteneva a Cassiano del Pozzo con l’iscrizione originale “ad vivum”, a dimostrazione che si lavorava dal vero, e con al centro un sarcofago con il mito di Teti. Al contrario di ciò che si immagina la pittura dei bassifondi è spesso ricca di citazioni colte.

Tre sono le opere di Nicolas Régnier: Taverna con i giocatori di dadi e un’indovinaScherzo di carnevale e La Farsa. L’artista  francese di Maubeuge che fonda l’associazione dei Bent, arriva a Roma intorno al 1623. Qui  trova subito posto tra gli accademici di San Luca e i Virtuosi del Pantheon. Con l’olio, “La Farce”, considerato il suo capolavoro, dimostra  di avere del tutto assimilato gesti e colori picareschi tipici del tema del carnevale romano e dell’ inganno. Una donna  mette sotto il naso di un personaggio che si è addormentato sul tavolo (con la posa del Malinconico) uno stoppino acceso. Cosa fa? È uno scherzo? O gli fa respirare qualche strana droga o è un afrodisiaco? L’intrigo comunque è reso alla perfezione; la donna accenna un sorriso e ci chiede con il dito sulla bocca di star zitti e non svegliare la sua preda.

Quelli in mostra non sono che pochi dei gesti, scene distorte, invenzioni, fatti e misfatti di tutta una lunga serie di  opere che ritraggono risse, decapitazioni, peripezie e omicidi, di quel 600 barocco anche detto la peste del gusto.

La vita godereccia e un po’ burlesque, il carnevale e le feste in piazza di Spagna, raccontano un brulicare di strade e viuzze romane infestate da zingari e derelitti, “facchini e monelli e tagliaborse” una Roma costruita su case fatiscenti e taverne puzzolenti, abitata da “chi si cerca i pidocchi e chi si gratta” e da pittori la cui pittura “non è barona” perché dipinge non papi o imperatori ma straccioni e “mbriaconi”(Salvator Rosa).

La panoramica che si offre  oggi è quella di una città Eterna ribaltata, “alla rovescia”, non solare ma oscura ma non per questo ritratta da un’arte meno nobile o sublime. C’è sempre un immaginario intellettuale dietro che rappresenta un’importante presa di posizione nei confronti dell’arte ufficiale dei palazzi e delle accademie. Quel che è interessante è che questo paradossalmente succede qui all’Accademia di Francia, proprio dove è nato il Prix de Rome  e dove ancora borsisti stranieri vengono selezionati per studiare i modelli dell’antico.

La mostra ha anche il merito di aver accolto solo risposte entusiasmanti dai musei italiani e stranieri  più prestigiosi (Galleria Borghese, Galleria Nazionale di arte antica di Palazzo Barberini, Musée des Beaux- Arts di Rouen, Musée du Louvre, National Gallery di Londra) e da collezioni private o intoccabili (come la Pallavicini). Tutti in Italia come all’estero coinvolti da un tema quanto mai  affascinante: il lato oscuro e i bassifondi di Roma; la città nascosta dietro i bagliori di San Pietro attira ancora come allora non solo gli appetiti del popolo più verace e truculento ma anche i palati  più raffinati dei colti.

Anna de Fazio Siciliano

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Diocleziano, Augusto e la bellezza restituita.Riapre a suon di musica la grande natatio delle Terme

quartetto archi Dioclezhttp://www.exibart.com/notizia.asp?IDNotizia=43245&IDCategoria=204

Ci si sente piccoli di fronte alla passata grandezza di Roma. Pari alla disperazione dell’artista davanti le rovine di Füssli, il pubblico sbalordito  improvvisamente si imbatte nella grande antichità. Perché la sensazione che si prova camminando nel chiostro di Michelangelo, appena restaurato insieme ad altrettante parti delle terme di Diocleziano sta proprio nel perdersi tra i suoi immensi spazi. Opera di un recupero lungo e paziente, durato sei anni, il lavoro di restauro anche questo colossale, fa parte dell’ iniziativa di riportare Augusto alla ribalta ma non solo nei suoi luoghi.  L’avvio a Primaporta, il 12 settembre alla Casa di Livia, poi Palazzo Altemps e Palatino. Prossimo appuntamento al nuovo percorso della basilica Iulia. Illuminazione impeccabile, installazioni video, quartetto d’archi e l’eleganza del buffet rendono l’inaugurazione una serata indimenticabile soprattutto se ci si ricorda che in questi giorni è il compleanno di Augusto.
È in quest’occasione del Bimillenario che la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma mostra i risultati dell’intervento di parte della monumentale (4mila metri) natatio e dell’adiacente aula VIII con i grandiosi frammenti architettonici. Il restauro del più grande complesso termale del mondo antico ha interessato anche il piccolo chiostro rinascimentale o meglio la Certosa di Santa Maria degli Angeli. Il percorso di visita realizza con meticolosa ricostruzione gli Atti degli Arvali e i Ludi Saeculares, i culti antichi riabilitati da Augusto nell’ambito della sua politica fortemente religiosa. Ma non mancano anche iscrizioni come quella dedicatoria delle terme  a Diocleziano, o il lungo nome di Nerone.
Alcuni  dei pezzi: la Vestale massima arriva quasi integra dalla Casa delle vestali al Foro, altri monumenti d’incomparabile bellezza arrivano dagli ultimi scavi del 2011.
Il restauro ha restituito il prestigio del luogo, un’ intensa suggestione alla passeggiata voluta da Buonarroti e non per ultima, la Certosa recupera le originarie cromie e tutta la valenza monumentale, dopo un lungo periodo d’incuria e abbandono. Quando vuole, Roma, torna a essere Grande. (Anna de Fazio Siciliano)
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L’ANIMA NERA della CALABRIA, 15 settembre on Exibart

Deve ancora uscire nelle sale cinematografiche ed è già un successo. Le “anime nere” vince il premio Mimmo Rotella ed è in lizza per candidarsi all Oscar. Ieri dopo la première nazionale a Catanzaro il pubblico era atterrito. Silenzio ai titoli di coda solo un fragoroso applauso irrompe in sala per il regista, l’autore del libro e per alcuni protagonisti tutti presenti al cinema the Space alle Fontane,di Catanzaro Lido. La traduzione filmica tradisce il libro di Giacomo Criaco, nativo di Africo, località calabrese dove il film è girato. Ma la versione di Francesco Munzi sposta in avanti l’azione negli ultimi anni e trasforma tre amici in fratelli con un’ operazione del tutto coerente alle logiche delle faide familiari tipiche del Sud più malavitoso.

Eppure non è solo questo e il finale assolutamente inaspettato che agghiaccia lo spettatore. C’è di più. Certe verbalizzazioni degli attori(molti esordienti e non professionisti) mettono a nudo un fare tutto legato alle logiche popolari le più becere, dove è la vendetta e la legge del “rispetto” a governare. Il ruolo attribuito alla donna, poi, fa restare interdetti. Nel film sembrano essere i suoi silenzi o le litanie davanti ai cadaveri dei suoi cari il messaggio subliminale che innesca il meccanismo della guerra, del “vindicari”la morte. A sorpresa però questo non avviene o meglio si interrompe grazie ai  colpi e non solo di bravura di Ferracane.

Il 18 la Calabria entra nelle sale e si porta già il peso della sua tragica bellezza, la sua profonda anima nera insieme agli scorci più incantati dell’ Aspromonte e delle spiagge.

Allora forse non è la Calabria una regione d’ Italia da dimenticare, piuttosto la famiglia per come è normalmente intesa,coi suoi condizionamenti e le fratture incolmabili. Non ce ne vogliano  Rotella o Boccioni,  il film nonostante il colpo al cuore permette di vederci dentro e perché no, sognare un finale diverso.

Anna de Fazio

Film visto il 15 settembre 2014


 

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PASSEGGIATA EGIZIA

Uno stretto rappoobelischituttirto lega Roma all’Egitto, come testimoniano gli obelischi, i leoni egizi alla base della scalinata del Campidoglio, i reperti del tempio di Iside nel rione Campo Marzio, il grande mosaico del Nilo custodito nel Tempio della Fortuna di Palestrina, la Piramide Cestia e tanti altri angoli di arredo urbano nella nostra città.

DA SETTEMBRE …STAY TUNED!

Prenotazioni sul cell. 3491505237

Anna 3491505237

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ROSSO FIORENTINO. ROSSO VIVO.

 

 

rosso-fiorentinoInaugurata il 23 maggio di quest’anno fino al 31 dicembre 2015, Rosso Fiorentino. Rosso Vivo, coinvolgerà tutti i più prestigiosi spazi del piccolo borgo toscano.

L’evento, articolato in cinque spazi espostivi, è promosso  dal Comune  in collaborazione con la Diocesi e Arthemisia Group  per la cura di Vittorio Sgarbi e la regia di Alberto Bartalini.

Lo scopo è puntare su un piccolo paese del centro Italia, ma assai vivace e architettonicamente meraviglioso. Volterra, il cui patrimonio genetico si rifà agli Etruschi, ma che ha un DNA fortemente marcato di medioevo, oggi offre lo scenario per un dibattito sull’arte contemporanea.

Tante, tantissime le declinazioni rossesche attraverso cui si dialoga con la pala del 1521. Storia e innovazione. Artigianato e tecniche innovative, nuovi linguaggi contemporanei: scart, show art, mosaico, pittura, sculture mostruose e persino antiche leggende.

scart

Sembra infatti che (Monsignor Bocci) un prelato volterrano, da ricerche di archivi diocesani scoprì la strana morte nel 1520 di tale Ranieri Orlandi di Sassetta, amato e stimato personaggio del luogo, morto impiccato o decapitato da Leone X . Ci racconta la vicenda uno degli artisti presenti al Battistero di Volterra, Stefano Stecchini. Merito del suo studio approfondito sulla Pala e insieme al vaglio di fonti come Vasari, adesso sospettiamo che questa morte inspiegabile sollevò diversi interrogativi e sommosse sul territorio. Rosso Fiorentino fu uno di quelli che si interrogò sul piano artistico sulla vicenda.

Una profonda linea sotto la gola del Cristo nel dipinto, potrebbe essere l’ indizio che il volto del Cristo fosse proprio quello di Ranieri.

Così la tavola della deposizione potrebbe rappresentare addirittura un manifesto politico?

Il mistero s’infittisce, perché forse non si tratta della solita iconografia della deposizione, che pare essere completamente estranea al laico Rosso Fiorentino.

C’è ben altro.

Per alcuni, inoltre la Deposizione del Rosso Fiorentino è una pittura non finita, la fisiognomica dei personaggi,  i ripensamenti nella scelta dei colori, ci fa vedere la pittura come un work in progress, e che è proprio per questo che Rosso appare di una  modernità a quei tempi sconosciuta e oggi incredibilmente disarmante.

La valenza culturale e artistica del maxi evento diventa quindi irripetibile- in quanto si offre l’occasione di confrontarsi con un grande interprete del passato. Aspetto ancora più intrigante è che questi artisti che conoscono l’opera di Rosso ne riproducono l’irregolarità, l’eccentricità o l’essenzialità a modo proprio, seguendo le suggestioni e le tecniche del mondo a loro contemporaneo.

In Rosso Fiorentino si possono vedere cubismo, astrattismo, arte concettuale – dice Sgarbi- è il padre dell’anticonformismo, un artista assoluto”.

renzo galardini 2014

Proprio la contemporaneità di questo artista è stata la base di partenza per la chiamata a raccolta di grandi artisti del ‘900 e contemporanei che sono esposti nei luoghi della città adesso pensati come atti di un grande spettacolo teatrale.

L’azione si apre a Palazzo e Torre Minucci dove la Pala finalmente isolata e per l’occasione spostata  viene valorizzata  nel nuovo allestimento luministico di una prorompente modernità. A fianco disegni di Lorenzo Viani e una scultura di Marino Marini. Il percorso continua negli altri spazi sulla linea dell’eccentricità  drammatica ispirata dal Rosso. Con  le sculture candide di Adolfo Wildt , Ciusa e quelle di Franco Asco, le minuzie di Osvaldo Licini , le illustrazioni di Domenico Gnoli, Todaro e Giani by Scart come pure le “Visioni” di Renzo Galardini,  di Cagnaccio di San Pietro, e gli autoritratti di Arturo Nathan, si provoca una sorta di cortocircuito per l’azione dissacrante nei confronti della grande pala di Rosso Fiorentino. A palazzo dei Priori si ammirano  opere site- specific e quanto mai originali di Renato Frosali, Mario Mulas, Paola Ghisleni, e ancora le celebri mummie di Inzerillo al Museo Etrusco Guarnacci. Al Teatro Romano entrano in scena invece le maestose opere di Mitoraj, il cretto di un grande torso e il busto segnato da una croce commissa.

asco crocifissione

Il Battistero di San Giovanni gioca su implicazioni spirituali e religiose antiche e contemporanee che rendono più stringente il richiamo all’attualità . Con le video- installazioni e le musiche di Forzoni e Cresti, la vorticosità della sceneggiatura apparecchiata dagli affreschi digitali di Stacchini insieme all’altare di specchi e vasi alabastrini,  è il luogo dove più che altrove la recitazione tocca il momento apicale dell’orchestrazione scenica.

battistero3La vertiginosa pala della deposizione della croce offre dunque il fianco a riflessioni a volte anche ai limiti  delle istanze di civiltà , dove una società scompare sotto le macerie della sua stessa barbarie.

Ma ugualmente consente di indagare, attraverso le tecniche più disparate e l’utilizzo dei materiali dai più preziosi a quelli di scarto e riuso, come l’arte contemporanea possa divenire un momento di confronto a più voci ma non solo, ci può rivelare ancora una volta quanto l’arte antica sia in realtà sempre vicina e attuale.

Anna de Fazio Siciliano

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Bonami a Capena:”Lo potevo fare anch’io. Perché l’arte contemporanea è davvero arte”

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Non avete ancora capito perché l’arte contemporanea è davvero arte? Oggi potrebbe essere la volta buona. Con Francesco Bonami all’Art Forum Wurth di Capena. http://www.exibart.com/notizia.asp?IDNotizia=42624&IDCategoria=204

Da Roma è un po’ fuori mano, ma vale la pena raggiungere l’Art Forum Wurth di Capena. Soprattutto oggi, perché nell’ormai consolidata rassegna di letteratura artistica si parlerà di arte contemporanea, con Francesco Bonami. Lo potevo fare anch’io. Perché l’arte contemporanea è davvero arte: questo il titolo provocatorio del suo intervento e del suo celebre libro, edito nel 2009.

Non un’anteprima certo, ma un nuovo appuntamento per incontrare da vicino uno dei nostri curatori più blasonati e conosciuti nel mondo. All’appuntamento di lettura mensile, la proposta con la quale  l’Art Forum intende offrire un momento di condivisione per affrontare l’opera di alcuni artisti dai punti di vista più autentici, delle loro memorie o attraverso narrazioni romanzate delle loro vite o, appunto, dai saggi divulgativi, seguirà il dibattito col famoso Bonami e perché no, visto che si parla di artisti contemporanea e dei suoi “fraintendimenti”, si può ancora approfittare per godere della mostra, prorogata fino a gennaio, sulla Transavanguardia. Il confronto è tra un artista made in Italy, Mimmo Paladino e Markus Lupertz, proveniente dalle terre teutoniche, come il collezionista e imprenditore Reinhold Würth. L’ingresso è accogliente: una scultura di Mitoraj vi dà il benvenuto, e una buona tazza di tè è offerta dall’organizzazione. (Anna De Fazio Siciliano) 

Save the date: 19 giugno ore 17,30

Viale della Buona Fortuna, 2
Loc. Scorano
00060 Capena (Roma)
Tel. +39 06 901 038 00
Fax +39 06 901 034 00

Calendario degli incontri:

http://www.wuerth.it/download/wuerth/art_forum_wuerth_capena/forum_letteratura_artistica.pdf

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UNA MIA BREVE NOTIZIA SU EXIBART

Grazie al sostegno di Anna Marra Contemporanea stasera si terrà la prima tappa di una performance  che unisce arte, scienza, multiculturalità e spiritualità. In un posto molto particolare per Roma: il carcere di Rebibbia.
L’azione? Si tratta di un lungo arazzo ricamato con un motivo “molto umano”:  la mappatura del genoma umano, la cui struttura complessa  mostra che elementi comuni  appartengono all’umanità intera. Sedute intorno al tavolo sei donne di diversa nazionalità, detenute nella Casa Circondariale, che hanno lavorato l’arazzo-sfondo per la cena preparata dalla Chef Cristina Bowerman. Il tutto, intitolato La tavola dell’alleanza, è nata da un’idea dall’artista palermitana Daniela Papadia, il cui punto cruciale è rappresentato dal  banchetto momento di comunione e convivialità. La performance è itinerante e prevede varie tappe in luoghi simbolici dove il dialogo tra uomini e donne sembra interrotto.  Resta alla tavola imbandita dall’artista e dalle detenute cercare di ravvivarlo, stasera dalle 19.30 alle 21.30, all’interno della struttura. (Anna De Fazio Siciliano)La tavola dell'alleanza di Daniela Papadia. Casa Circondariale Femminile di Rebibbia Roma
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INTERVISTA A IOLE SIENA, 30 maggio

iole siena
Appena rientrata da Madrid, Iole Siena, è l’instancabile guida di Arthemisia Group, società leader nella produzione di mostre in Italia;  un team di professioniste, tutto al femminile, o quasi, che sta al momento chiudendo con la preparazione delle mostre autunnali: Escher, Memling, Klimt.

Nel suo fugace passaggio a Roma le strappiamo una breve intervista.

Per iniziare, qualche curiosità: “Come si è avvicinata al mondo dell’ arte?

Il mio percorso è iniziato studiando Lettere Classiche, volevo diventare archeologa! Poi per una serie di coincidenze mi sono trovata a collaborare con una piccola società marchigiana di organizzazione di mostre e col tempo il salto a Roma mi ha portato al timone di Arthemisia Group.

– Come si costruisce una mostra di successo come le vostre?

Con tanto, tantissimo lavoro! E con l’esperienza e la conoscenza del mestiere, non ci si improvvisa. Gli ingredienti per una mostra di successo sono: tanto tempo (una mostra importante può richiedere anche 4 anni di preparazione), un tema o un artista di vasto interesse (una mostra sublime ma di nicchia non si può definire un “successo”), un solido team scientifico, prestiti eccellenti, una sostanziosa campagna di comunicazione e un’attenzione materna per i visitatori ovvero i nostri clienti.

Che tipo di servizio si offre?

Arthemisia copre tutti i servizi necessari alla realizzazione di una mostra, accoglienza, ufficio stampa, cataloghi, attività, didattica, biglietteria perciò dall’idea allo stacco del biglietto.

Quali sono se ci sono attività extra al servizio mostre?

La consulenza: 15 anni di esperienza e la produzione di oltre 400 mostre ci consentono di poter affiancare chiunque voglia occuparsi con successo di arte, mostre e musei.

Cosa l’ha spinta a travalicare i confini dell’Arte dopo mostre formidabili come Munch, Hiroshige, Hopper o Cleopatra e a pensare a eventi come Harry Potter o Romatiamo?

Non è ancora diffuso qui in Italia, ma altrove, in America, per esempio, si seguono anche le nuove emergenze culturali in modo da rispettare le aspettative e i bisogni di ogni tipo di pubblico, perciò un evento come quello su Harry Potter poteva convogliare un pubblico molto giovane, o per Romatiamo, uno più attento al mondo dello sport. È il racconto che conta. La nostra politica culturale si fonda su un principio di “Edutement”: educazione all’arte e intrattenimento.

Partecipazioni a fiere?

No, gli addetti ai lavori ci conoscono, non ci serve pubblicità.

Si intrattengono rapporti con altre gallerie /istituzioni italiane e straniere?

Certo, il nostro lavoro è fatto in gran parte da relazioni con le altre istituzioni culturali. Quasi mai con le gallerie (non abbiamo nulla a che fare con il mercato dell’arte, non ci occupiamo di vendita di opere), tutti i giorni con i grandi musei di tutto il mondo.

Come si pone nei confronti di Vittorio Sgarbi e i suoi metodi, diciamo, poco ortodossi?

È uno dei più grandi critici d’arte, è questo l’aspetto che ci interessa.

Come nasce un progetto? Seguite delle precise linee espositive? Da chi nasce l’idea? Voi? Un curatore? Un museo?

Il più delle volte (l’80% dei casi) siamo noi a formulare un’idea. Il nostro desiderio di raccontare un artista, un personaggio, un movimento nasce qui a via Montoro. Poi capita anche che un curatore ci sottoponga una suggestione e allora costruiamo insieme un progetto espositivo.

Linee di ricerca/identità/ particolarità espositive

L’internazionalità: Arthemisia ha un carattere fortemente internazionale, non a caso il team è formato da professionisti di ogni nazionalità ed il lavoro si svolge in maniera equivalente tra il mercato italiano e quello estero.

La libertà: Arthemisia non appartiene a gruppi editoriali e non ha alcuna appartenenza politica. E’ un’azienda “libera”, cosa anomala nel settore, improntata sull’imprenditorialità e molto lontana dai localismi, e per questo capace di lavorare trasversalmente, dai piccoli centri alle grandi metropoli, da Roma a Singapore, dal pubblico al privato.

L’attenzione al visitatore: all’interno delle mostre, una mostra “Arthemisia” si distingue dalle altre e si riconosce per l’attenzione quasi maniacale per i nostri visitatori. Siamo stati i primi ad introdurre l’audio guida gratuita per tutti, consci di quanto sia importante capire a fondo ciò che si guarda, e facciamo un lavoro massacrante perché il pubblico abbia tutti gli strumenti per approfondire. Nelle nostre mostre mettiamo a disposizione una lettura per i bambini, una per il pubblico “curioso”, una per gli studiosi. Il pubblico delle nostre mostre sa di essere al centro del nostro lavoro.

Viviamo un forte momento di crisi. Quali sono le difficoltà oggettive per realizzare un evento? Come cercate di ovviare il problema?

Gli sponsor ormai sono quasi del tutto assenti, così ci siamo reinventati, mettendo a punto alcune accortezze che ci permettono comunque di portare avanti nel migliore dei modi il nostro appassionante lavoro. Siamo pionieri, forse, anche in questo!

È vero, ci sono state molteplici polemiche sull’allungamento del periodo di mostra, ma invece, sul nostro esempio, le altre società hanno adottato le stesse strategie.

Dove il riscontro della crisi è più marcato, è nella diminuzione dell’acquisto dei cataloghi. Per portare a casa un ricordo della visita della mostra adesso ci si limita all’acquisto di una cartolina o  di un piccolo souvenir. Dal canto nostro, poiché l’obiettivo principale della mostra è che il pubblico non solo conosca ma soprattutto comprenda l’artista, che ne parli, che sia presente nel suo mondo, allora abbiamo fatto in modo di garantire che l’audio guida fosse sempre inclusa nel biglietto, anche se necessariamente poco più alto rispetto a qualche tempo fa.

Iole, con quale mostra da voi curata, o artista si identifica di più? Ha un grande amore?

Si, la mostra appena conclusa “Modigliani e gli artisti maledetti”. Mi affascina la Parigi degli anni folli, l’atmosfera bohémienne del quartiere Montparnasse, che è stato crogiuolo di incontri irripetibili tra artisti, musicisti, pittori, scultori, intellettuali. Erano lì a Parigi dove ancora tutto poteva succedere!

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