©foto di Anna de Fazio
50 opere della collezione Pérez Simòn
Curatrice: Véronique Gerard-Powell
Luogo: Chiostro del Bramante
Date: dal 16 febbraio al 5 giugno 2014
Prossima destinazione: Thyssen-Bornemisza di Madrid.
C’è un’altra “Ofelia” tra i pittori inglesi dell’800 ma non è la tela dipinta da Millais e neppure si tratta di Lizzie Siddal, la moglie di D.G.Rossetti.
È una anonima figura che emerge dal fondo acqueo de “Il mare incantato” di Henry Payne, 1899.
Al secondo piano del percorso espositivo della ammiratissima mostra al Chiostro del Bramante, tra i dettagli di un olio su tela, alcune figure di belle donne appaiono distese nella corrente e sollevano la testa trascinate via dalle acque (G. Meredith, Rosatura di Shagpat).
Sono le donne protagoniste. Angelicate o femmes fatales, presenze antiche come Antigone o Agrippina, donne come fiori, donne nella loro pura nudità o riccamente abbigliate, figure femminili che arrivano dall’Oriente o più vicine, avvolte nei pepli dell’antica Grecia.
Il più delle volte, centrali nell’opera, altre volte, restano nello spazio en abîme come in questa opera di Payne, realizzata quasi alla maniera veneta: le cromie, i tessuti damascati le piccole presenze di arie di teste, ricordano i tratti peculiari del secondo Cinquecento di area veneta, o addirittura certe immagini ardite di Tintoretto.
E non è l’unica opera che rievochi la pittura e la scultura italiana.
Guardiamo “Antigone“di Lord Leighton. Non ricorda, in qualche modo, la sibilla libica michelangiolesca o il tondo Doni nella torsione appena accennata?
E ancora: per Leighton, Atalanta e Ippomene di Guido Reni sono la fonte ispirativa di “Fanciulle greche raccolgono ciottoli sulla spiaggia”
Nel 1904, E. B. Jones scrive:“Se mai un giorno dovessero guardare a me come io ho guardato a Mantegna, per la mia anima sarebbe una ricompensa davvero inestimabile”
50 anni prima, ne1855, aveva avuto la fortuna di vedere la Vittoria di Mantegna al Louvre, ed è nello stesso anno che decide diventare pittore!
Tutte prove indiscutibili del fascino che la nostra terra esercitava sugli inglesi, in realtà già dalla fine del ‘700.
Tuttavia, oltre la fascinazione, come è possibile che il belga Alma Tadema e la scuola inglese, rivalutata solo da qualche tempo (Webber , Perez Simon) abbiano a che fare con l’Italia? Come si spiega questo legame?
I pittori dell’800 inglese hanno desunto idee forme e colori dai maestri italiani del 3-400 (Giotto, Botticelli) dal Rinascimento (Raffaello, Luini, Tiziano, Veronese, Tintoretto) e ancora dal 600.
Questa attenzione si fonda sull’eredità del Gran Tour ma soprattutto per l’apertura, nel 1824, della pinacoteca pubblica nel cuore di Londra: la National Gallery, dove appunto si potevano ammirare le collezioni di arte italiana già da allora.
Poco oltre, nel 1848 Rossetti, Hunt e Millais fondano la PRB, Pre Raphaelites Brotherhood, una confraternita ispirata alla poesia e arte italiana.
Pensiamo, inoltre che lo studioso e traduttore dell’Alighieri, D.G. Rossetti (che in Italia, però, non c’è mai stato) era così invaghito del padre della lingua italiana, da assumerne il nome, tutto il resto non ci sorprenderà, perché esiste un lungo e acclarato legame tra la patria di Shakespeare e quella di Dante.
È attraverso Rossetti, ammiratore degli scritti di W. Blake ( le cui citazioni sono presenti in mostra ad arricchire di testi poetici le splendide tele ) che avviene il passaggio al Movimento Estetico: la donna angelicata cede il passo all’eterno femminino.
Esattamente nell’epoca della regina Vittoria (1837 – 1901), l’arte dell’Inghilterra è completamente risucchiata dal vortice di quella italiana, conquistata dal mito dell’Italia.
A quella stessa altezza cronologica, l’Inghilterra, in fuga dal perbenismo vittoriano, ritrova nel gusto dell’ estetismo classico greco-romano, oltre che dalle leggende celtiche e dal gothic, istanze artistiche in grado di destabilizzare, attraverso il culto della bellezza e della donna, un’epoca complessa fatta di sconvolgimenti profondi in seno alla società.
Così, accanto a figure femminili sognanti e delicate, appaiono persino donne ammaliatrici quasi streghe, maghe che con la voluttuosità del proprio corpo esercitano un potere che si trasforma in passione e desiderio.
La donna angelo di Leighton: Crenaia, la ninfa, sta accanto alla possanza michelangiolesca di Antigone, o alle spigolosità, quasi germaniche, della donna protagonista di Filtro d’amore di Waterhouse.
Tuttavia non c’è solo il mito italiano, esiste anche la Grecia classica per Tadema e gli inglesi, e l’Oriente fascinoso oltre che la Roma antica.
Al Chiostro del Bramante vedrete anche una meravigliosa Bellezza classica di Godward . Molte le tele di Tadema che risvegliano in noi quelle forme di archetipo basate su modelli greci ben radicati.
È negli anni 60-70 dell’800 che il classicismo romano si fonde con il modello greco, molto forte in Inghilterra per via della presenza dei marmi del Partenone al British Museum, visibili dal 1816.
Lo spostamento d’interesse verso il Classicismo rappresenta la cifra stilistica più nota di questi artisti che inizia adesso a farsi più deciso.
E’ uno slittamento verso l’antico, che rientra in un clima culturale in cui gli studi sulla Grecia arcaica e le scoperte archeologiche sono in piena espansione così come gli studi omerici.
Sorprendente della mostra è anche l’allestimento a cura dell’architetto Roberto Bua.
Il percorso espositivo segue un andamento coloristico e floreale (bello l’intervento pittorico di Elvis Spadoni): i fiori dialogano con i poeti e gli scrittori, in un rimando tutto basato sul fil rouge della mostra; ancora le donne.
Nella sala del caprifoglio le si richiamano in atmosfere gotiche, l’elleboro gioca con il tema della follia, il giglio con il Cantico dei Cantici, il fiore del lutto è l’asfodelo e vi troviamo pure la dubbiosa digitale purpurea accompagnata da note poetiche pascoliane.
Qua e là pensieri di Nietzsche e Montale impreziosiscono le sale.
Per finire, la rosa e il suo profumo.
Nell’ultima sala dove si ha il privilegio di godere dal vivo il grande dipinto Le rose di Eliogabalo di Alma Tadema conclude l’itinerario.
Il pittore nel 1863 è per la prima volta in Italia. Firenze, Napoli, Roma, Pompei: le tappe del suo viaggio. Attratto da principio dai resti paleocristiani, riscopre solo in un secondo momento l’antichità. La scopre per ultimo, dopo Napoli, dopo Roma. Ne resta incantato. È a Pompei che accade la magia che gli cambierà la visione, e la conseguenza di questa scoperta porterà l’artista a virare verso il genere Neopompeiano.
Ripercorrendo in un colpo d’occhio, à rebours, tutte le sale ci si accorge di essere circondate da donne, occhi, cromie intense, luce sfolgorante e fiori, paesaggi ameni e aromi intensi, in una parola, da tutto ciò che rappresenta il Bello.
“È difficile restare arrabbiati quando c’è tanta bellezza nel mondo”.